giovedì 26 maggio 2011

05 RISCHI E DISTORSIONI DELL'ARCHEOLOGIA VIRTUALE


L'indiscussa efficacia delle nuove tecnologie sta suscitando enorme interesse testimoniato anche dalle recenti grosse produzioni hollywoodiane girate in tre dimensioni che hanno dato un fortissimo impulso a molti settori, come quello delle sale cinematografiche, dei televisori e di tutti quei dispositivi, anche per cellulari, in grado di visualizzarla, spingendo infine anche la ricerca tradizionale ad utilizzarle.
Una prima grossa distorsione consiste nel fatto che gran parte della ricerca scientifica finanziata si chiama technology driven, uno studio cioè indirizzato dalla tecnologia, che quindi ne diventa il fine e non il mezzo, mirando a finanziare unicamente il progredire della tecnologia[1] .
Ecco un esempio relativo, in particolare, al settore dei beni culturali:
"C'è un sistema che dovrebbe permettere, avendo a disposizione un telefonino e una macchina fotografica, di scattare una foto a un resto archeologico, monumento ecc., inviarla a un server centrale e ricevere informazioni sul monumento che si ha davanti. Apparentemente rientra dunque nel nostro obiettivo: come ripristinare il circuito tra le opere e i fruitori. Ma a cosa è rivolta la ricerca realmente? Al sistema che permette data una foto, di identificare di quale oggetto si tratta. Cioè al problema del riconoscimento automatico dell'immagine.
Dal punto di vista della fruizione del bene culturale, questo sistema è ingombrante e costoso e, soprattutto inutile. Lo si potrebbe definire come sparare a una zanzara con un cannone: è evidente, infatti, che esistono infiniti sistemi, molto più semplici, che permettono di ottenere l'identificazione dell'oggetto. Ad esempio, una semplice etichetta numerata riportata sull'oggetto stesso che il visitatore potrebbe digitare e inviare. Ci sarebbero come è ovvio, notevolissimi vantaggi di costo, dato che non solo si farebbe a meno del laborioso sistema di riconoscimento, ma l'invio dell'etichetta numerica costerebbe esso stesso meno dell'invio di una foto. E ci sarebbe un considerevole aumento dell'affidabilità: il sistema con il riconoscimento automatico è prono all'errore, soprattutto in funzione della presa dell'immagine; il sistema dell'etichetta può sbagliare solo se l'utente non digita la cifra in modo corretto L'etichettatura dei monumenti, poi è operazione sicuramente più semplice e meno costosa di quella di fornire al sistema i dati degli stessi monumenti perché operi un corretto riconoscimento.
E non vogliamo nemmeno pensare a cosa dovrebbe accadere se il sistema volesse essere generalizzato ben oltre i pochi siti e monumenti sui quali è stato sperimentato: si può immaginare costo e dimensione di un sistema che volesse funzionare, ad esempio, su tutte le aree archeologiche italiane? Anzi, se ne può realisticamente immaginare la fattibilità?
Nulla, invece è stato dedicato a capire che cosa si dovrebbe ricevere sul proprio telefonino, anche ammesso - e non concesso- che sia uno strumento adeguato allo scopo" (ANTINUCCI F. 2007).

Sono sempre più numerose le ricerche che perseguono con qualche lieve differenza lo stesso obiettivo: sviluppare cioè dei sistemi che permettano di trasferire oggetti tridimensionali sul web e di renderli manipolabili.
Purtroppo il proliferare di queste proposte sembra essere solo la conseguenza di una certa moda tecnologica che consiste nella scannerizzazione tridimensionale a tappeto degli oggetti d'arte volumetrici e che, indipendentemente dalla sua utilità, genererà una quantità immensa di dati (principalmente fotografie, tradizionali o digitali) da conservare e gestire con un certo dispendio di tempo, lavoro e risorse. (ANTINUCCI F. 2007).
Senza contare che ancora oggi gli ambienti virtuali, così come nel cinema degli esordi, si limitano spesso a fare leva sull'effetto stupore quando potrebbero invece essere utilizzati più efficacemente per raccontare la complessità dei progetti di ricerca, consentendo un nuovo tipo di fruizione da parte del grande pubblico: una sorta di esplorazione non lineare che si differenzia completamente dalla sequenzialità cinematografica (GUIDAZZOLI A. 2007).
Le elaborazioni virtuali di immagini, che, come si è detto, costituiscono dunque una risorsa importantissima sia per la ricerca, sia per la loro efficacia come mezzo di diffusione, presentano alcune problematiche.
Un esempio su tutti il fatto che le immagini elettroniche tendono a riportare tutto alle proporzioni dello schermo. Anche se il cervello umano riesce esattamente a compiere il rapporto di scala, l'effetto percettivo immediato non è assolutamente lo stesso: la modalità senso-motoria in cui opera il nostro cervello svolgendo questo compito non corregge la scala (operazione che compie un'altra "parte" del nostro cervello).
Per questo motivo la scelta di porre accanto ad un'opera d'arte uno schermo sul quale far scorrere le immagini delle copie con ricostruzione è decisamente errata, poiché l'accostamento di questi due oggetti, essendo di fatto irrimediabilmente diversi e difficilmente comparabili rispetto all'operare senso-motorio, non fa altro che vanificare gran parte del lavoro critico, concettuale ed esecutivo svolto per la copia ricostruita (ANTINUCCI F. 2004).
Al tempo stesso però, di progetto in progetto, si è giunti a riconoscere le ricostruzioni tridimensionali computerizzate come uno strumento particolarmente flessibile, che consente usi che fino a pochi anni fa sembravano improponibili.
I modelli 3D permettono di:
- accedere a monumenti a rischio di danneggiamento, e perciò chiusi al pubblico;
- riprodurre, nella versione più completa possibile, realtà e oggetti non più esistenti o di cui rimangono solo alcune rovine o frammenti;
- offrire una fruizione senza confini, sia portando l'oggetto all'utente, sia radunando oggetti  dispersi sul territorio e riproponendoli entro uno spazio nuovo percorribile virtualmente;
- ottenere una visione dinamica, senza vincoli spazio-temporali, proponendo punti di vista difficilmente raggiungibili (ad esempio a volo d'uccello), sia spostandosi nel tempo per mostrare fasi diverse della realtà analizzata;
- trasformarsi in un portale di accesso ad informazioni raccolte ed organizzate in database referenziali ed interrogabili" (GUIDAZZOLI A. 2007).

[1]   I dati provengono dall'IST (Information Society Technology), che è il settore all'interno del quale viene finanziata la ricerca attinente ai beni culturali nel VI Framework Programme, il programma quadro della ricerca dell'Unione Europea terminato nel 2006; nel VII, attualmente in corso, si possono notare piccole differenze come ad esempio: "l'enfasi sui temi di ricerca piuttosto che sugli strumenti". Sito: http://cordis.europa.eu.

Massimiliano Montanari

domenica 22 maggio 2011

04 - IL CONTRIBUTO DELLA REALTÀ VIRTUALE IN ARCHEOLOGIA.





Si è già detto di come la tecnologia di visualizzazione del calcolo, nata in ambiente scientifico e tecnologico, grazie alla sua eccezionale versatilità, abbia visto crescere il proprio campo d'applicazione, tanto che oggi è possibile fare esperienza di sistemi virtuali anche per generare, navigare ed esplorare ambienti ricostruiti d'interesse storico culturale (FELICORI M. 2003).
Quale può essere il contributo della Realtà Virtuale nel campo della ricerca archeologica?
Una delle lacune più evidenti della scienza archeologica è l'impossibilità di svolgere sperimentazione nelle fasi di scavo e di esplorazione stratigrafica: cioè, l'archeologo vede già distrutta gran parte degli oggetti stessi della ricerca.
Dunque, la riproduzione virtuale dell'intera fase esplorativa archeologica e la ricostruzione puntuale del paesaggio, potrebbero essere i mezzi indispensabili per procedere a sempre più corrette stratificazioni. "L'archeologia virtuale rappresenta forse lo stadio ultimo della ricerca, in ragione del fatto che si prefigge di realizzare spazi e ambienti scientifico-informativi altrimenti non perlustrabili, guidando le fasi di indagine con criteri di accesso privi di arbitrarietà" (SARTI A. 1995).
L'archeologia virtuale, espressione della Virtual Cultural Heritage, vede una sua prima elaborazione teorica nei primi anni Novanta.
Il primo a parlare di Virtual Archaeology fu Paul Reilly, che nel 1991 indicò alcuni dei percorsi praticabili dell'archeologia computazionale individuando i suoi punti di forza nella registrazione degli scavi e nella ripetibilità degli scavi stessi attraverso modelli tridimensionali, ipertesti e soluzioni multimediali. Questa visione, dieci anni dopo, si è ampliata fino a comprendere l'applicazione dei metodi di visualizzazione e presentazione di ricostruzioni di ambienti del passato come edifici, paesaggi ed artefatti. Quel concetto iniziale tende così ad essere integrato con tutti quegli elementi che permettono la pubblicazione sempre più fedele di una complessità di contenuti, spostando l'attenzione dal singolo luogo all'ambiente con tutti i suoi elementi, grazie all'impiego crescente di banche dati che ne raccolgono i particolari (GUIDAZZOLI A. 2007).
La maggior parte dei settori della nostra vita ha visto, attraverso la digitalizzazione, un aumento esponenziale dei dati a disposizione producendo, a loro volta, l'emergere di un problema di gestione della loro consultazione. All'inizio di quella che è stata chiamata rivoluzione digitale[1]  (e nella conseguente convergenza al digitale[2] ) si era mirato ad occupare il minor spazio possibile (in termini di byte), mentre il più recente rinnovamento nel settore dell'archiviazione ha prodotto supporti sempre più capienti e dai costi sempre più contenuti (come i CD, fino ai DVD ed i BLU RAY, ma anche hard disk e dispositivi portatili come le memorie flash), rendendo l'archiviazione quasi una prassi, senza la minima selezione: un semplice riversamento di dati su diversi supporti.
La semplice conversione al digitale della ricerca archeologica non porta dunque ad alcun evento straordinario, né deve alimentare aspettative esagerate (il fattore "cool"); sicuramente però bisogna affrontare un impatto informativo di molto superiore a quello degli ultimi decenni: più informazione comporta più complessità che, a sua volta, implica più processi di elaborazione e di conoscenza (FORTE M. 2006).
Negli anni '80-'90, tra l'altro, la notevole resistenza accademica (in parte ancora persistente) alla modellazione e visualizzazione 3D di dati archeologici, si basava fondamentalmente su un pregiudizio: che le realizzazioni 3D fossero una sorta di capriccio estetico e dessero cioè informazioni tutto sommato superflue ed opzionali all'uso scientifico, considerate quindi un mero supporto alla didattica ed interpretate come un processo di volgarizzazione della conoscenza anziché l'ampliamento.
Alcune problematiche in effetti ne hanno, fino ad oggi, limitato l'uso: ad esempio l'errore di pensare che un modello tridimensionale possa indurre solamente affabulazione estetica a danno del contenuto, o che le tecniche di modellazione 3D siano molto costose. In passato inoltre molte multinazionali del software adottavano una politica tecnologica secondo la quale il 3D rappresentava una nicchia di mercato non ancora allettante per cospicui investimenti, atteggiamento che invece, attualmente, sta subendo una rapida inversione di tendenza.
Il mondo tridimensionale era quindi relegato ad un ruolo ricostruttivo e non investigativo.
Questa diffidenza può trovare giustificazione nella difficoltà di immaginare un modello 3D come "uno spazio interattivo, multimodale e soprattutto come un contenitore olistico di informazione, un tutto maggiore della somma delle parti" (FORTE M. 2006).
L'assetto metodologico dell'Archeologia come disciplina non può ancora essere influenzato dall'utilizzo delle tecnologie 3D sia nelle fasi di acquisizione che di ricostruzione/elaborazione di immagini, poiché il numero di scavi archeologici nel corso dei quali esse sono applicate è statisticamente ancora poco significativo. Purtroppo accade così che la modellazione 3D elabori dati acquisiti manualmente in due dimensioni e/o integri informazioni spazialmente non corrette o addirittura inventate.

[1] La rivoluzione digitale è un processo di radicale trasformazione iniziato verso la metà del novecento con la realizzazione dei primi elaboratori elettronici e assume dimensioni  internazionali già negli anni '70 continuando la sua espansione durante gli anni '80, fino ad affermarsi come "rivoluzione industriale" negli anni '90. Con rivoluzione digitale si intende l'enorme diffusione che hanno avuto i diversi prodotti digitali e a seguire quei cambiamenti sociali, economici e politici avvenuti con all'avvento della digitalizzazione di gran parte delle informazioni. La rivoluzione digitale, iniziata con la nascita del linguaggio binario comune a tutti i media e sempre più utilizzato per trasformare i mezzi di comunicazione tradizionali e per crearne di nuovi, ha contribuito a mutare profondamente il concetto di comunicazione. La rivoluzione digitale ha cambiato l'approccio alla cultura, al lavoro e al tempo libero. Da Encyclopedia of Information Science and Technology, New York 2009.

[2] La convergenza al digitale (trasformazione dell'informazione in digitale) è il fulcro della rivoluzione digitale con cui le informazioni provenienti da diverse fonti sono scritte con lo stesso linguaggio di base (il linguaggio dei bit) e gestite attraverso uno stesso strumento (il computer). La convergenza al digitale (ossia la migrazione verso il digitale di formati differenti di informazioni di solito collegati a diversi media) rende possibile una stretta ed inedita integrazione fra codici e linguaggi molto differenti tra loro. Questo processo non è solo una diretta conseguenza del progresso tecnologico, dal momento che coinvolge direttamente i modi di rappresentare, scambiare e gestire le informazioni; la rivoluzione digitale non va intesa come una riformulazione in un linguaggio nuovo di una preesistente realtà: ha modalità nuove rese possibili dalla tecnologia, ma è frutto di scelte che non sono solamente tecnologiche. Da Encyclopedia of Information Science and Technology, New York 2009.

Massimiliano Montanari

mercoledì 11 maggio 2011

La terza dimensione in Archeologia. Esperienza e Risultati.



WORKSHOP – UNIVERSITA' DI BOLOGNA.
La Terza Dimensione in Archeologia. Esperienze e Risultati.


ANDREA FIORINI
La restituzione tridimensionale degli elementi strutturali e della stratigrafia muraria: esperienze di fotomodellazione e stereofotogrammetrial.

ANTONIO CURCI, ALBERTO URCIA
Topografia e fotogrammetria: esperienze e risultati nell'applicazione dell'imaging station in Archeologia.

FEDERICA BOSCHI, ALESSANDRO CAMPEDELLI, CASTAGNETTI CRISTINA, BARBARA CERASETTI, MARCO DUBBINI, ENRICO GIORGI, MICHELE SILANI, ISABELLA TOSCHI
La profondità del sottosuolo e l'architettura del soprassuolo: il caso di Burnum (Croazia).

MASSIMILIANO MONTANARI
La comunicazione del dato tridimensionale: dalla ricostruzione virtuale al rendering. I casi della basilica di San severo e del castello di Rontana.

MARTINA ALTROVANDI, JULIAN BOGDANI, FEDERICA BOSCHI, MARCO DUBBINI, ENRICO GIORGI, MICHELE SILANI
Aerofotografia storica, geofisica e interpretazione archeologica nell'Area di Suaza (Ancona).

SIMONE ZAMBRUNO, ANTONINO VAZZANA
Archeoantropolotia virtuale, applicazioni del dato TAC e dello scanner 3D e luce struttura.

Venerdì 13 maggio 2011, ore 10 Aula Gambi – Piazza San Giovanni in Monte 2 Bologna

Questo incontro nasce dall'esigenza di raccontare le esperienze che diversi gruppi di ricerca stanno conducendo sul tema dell'utilizzo della Terza Dimensione nel rilievo e nella documentazione archeologica. Il workshop è pensato come libero scambio di esperienze e di opinioni da parte di tutti i partecipanti, a partire da brevi presentazioni di casi di studio che introdurranno i diversi temi e i diversi sistemi utilizzati, mostrando i risultati ottenuti e le eventuali difficoltà incontrate.

domenica 1 maggio 2011

La realtà virtuale in archeologia.


Il termine virtuale, sempre più consueto, è diventato un motivo di confronto e riflessione per molti studiosi. Se nel linguaggio comune il significato viene esteso fino ad comprendere qualsiasi surrogato della realtà in formato digitale, da un punto di vista tecnico con Realtà Virtuale[1] ci si riferisce ad "un particolare tipo di simulazione interattiva, nella quale lo spettatore, in interazione con un computer, può esplorare ed interagire con una rappresentazione tridimensionale di oggetti ed ambienti, provando la sensazione di essere nell'ambiente stesso che, pur non esistendo concretamente, può essere percorso ed osservato" (Liguori M. C. 2008, p. 2).
Lo spazio, nella Realtà Virtuale, è realizzato con dati processati dinamicamente in tempo reale ed in modo differente rispetto alla computer graphics e agli effetti speciali usati per film e programmi televisivi, per i quali ciascuna immagine è stata calcolata in precedenza ed è quindi letta in una sequenza predefinita sulla base del filmato (Levy P. 1999).
Lo scenario della ricerca scientifica contemporanea sta subendo una radicale trasformazione grazie alla nuova possibilità di costruire modelli sintetici di sistemi complessi con l'aiuto del computer. (Sarti A. 1995).
Al momento non sappiamo quale sarà la forma finale con la quale verrà usata la Realtà Virtuale: forse userà i media presenti oggi, magari modificandoli profondamente, o forse ne creerà di nuovi.
Fidler parla di mediamorfosi[2], il cui concetto si può applicare anche a un medium come la Realtà Virtuale: quest'ultima dovrà comprendere altri media e forse costringerà altri media a mutare, così come l'avvento della televisione ha costretto la radio a trasformarsi. "Oggi la Realtà Virtuale, come è stato per il cinema delle origini, è un medium nuovo che vive ancora la fase effetto stupore, ma che dovrà definire un proprio linguaggio e specializzarsi in generi" (Felicori M. 2003, p. 9).


[1] Le caratteristiche della Realtà Virtuale dovrebbero essere:
                intensività - informazioni multiple
                interattività - tra uomo e macchina
                immersività - esperienza profondamente assorbente
                illustratività - informazioni chiare e illuminanti
                intuitività - informazioni facilmente percepite (Liguori 2008, p. 2).
[2] Secondo la Teoria della mediamorfosi di Fidler l’evoluzione dei media è come un processo di selezione che avviene per cause sociali, politiche ed economiche. Come avviene in natura, le spinte evolutive favoriscono o svantaggiano eventuali “metamorfosi” dei media esistenti in media tecnologicamente più evoluti. Fidler elabora due concetti per spiegare l’evoluzione dei media, coevoluzione e convergenza. Con coevoluzione Fidler intende mostrare come i nuovi media non sorgano mai dal nulla, ma come evoluzione di una medium pre-esistente (ad es., il telefono mobile dal telefono fisso), che spesso continua ad esistergli accanto. Il concetto di convergenza intende invece far luce sulla progressiva sinergia che caratterizza l’evoluzione dei media, come ultimamente sta avvenendo attraverso la digitalizzazione del segnale. (Fidler R. 2000).



Massimiliano Montanari