Lo scopo per cui è nata la Realtà Virtuale è, come detto in precedenza, la maggiore comprensione dei dati complessi. Dagli ultimi studi sull'information Visualisation e sulla Psicologia della Percezione, è emerso chiaramente come l'accessibilità e la comprensione delle informazioni sia direttamente proporzionale alla loro 'percezione'. L'applicazione di tecniche per la visualizzazione dei dati ha permesso, attraverso l'utilizzo della computer-grafica, di passare dalla semplice osservazione del mondo reale alla rappresentazione visiva di dati teorici ottenuti da calcoli numerici.
Come tutti i sistemi di dati complessi anche l'Archeologia può trarre beneficio da questa tipologia di visualizzazione scientifica e, infatti, inizialmente i modelli tridimensionali sono stati utilizzati ai fini della ricerca, seppure marginalmente rispetto ad altre discipline. Il passo successivo dovrebbe essere quello di usare questo efficace mezzo di rappresentazione per scopi educativi e didattici; la realizzazione però di un modello virtuale, seppure qualitativamente impeccabile, non risulta necessariamente sufficiente per la corretta comunicazione dei suoi contenuti.
Un problema spesso sottovalutato è la difficoltà che l'utilizzatore finale incontra rispetto all'uso della strumentazione tecnologica.
Progetti di ottima qualità sono proposti attraverso complessi sistemi di utilizzo, interfacce decisamente poco user friendly (apprezzabili solo da chi è abituato all'utilizzo dei videogame) e decisamente ostici per chi non ha molta dimestichezza con la tecnologia. Non tutti, infatti, sono disposti a spendere il proprio tempo per apprendere l'uso di uno strumento che costituisce solo un tramite per acquisire altra conoscenza. Inoltre (come si è appreso da tempo dalle strategie di marketing), un utente che si sente inferiore, o arretrato, o inadeguato rispetto al prodotto proposto, si irrita e rinuncia alla fruizione di un bene culturale (esattamente come avviene in campo commerciale quando non acquista il prodotto stesso).
Le interfacce, dunque, vanno progettate con particolare riguardo all'aspetto della fruizione, assicurandone l'intuitività e limitando il più possibile l'interferenza tecnologica.
Per quanto riguarda l'Archeologia, in particolare, la comunicazione è spesso emarginata dal mondo accademico proprio perché deve affrontare anche la difficile sfida di proporre diverse ipotesi ricostruttive del mondo antico, integrando dati osservati ed osservabili, con modelli apparentemente aleatori. Tale atteggiamento comporta una scarsa ricaduta sociale, una sorta di isolamento culturale che causa la limitata trasmissibilità della disciplina stessa.
La Realtà Virtuale in questo senso può costituire un prezioso ausilio grazie al suo forte impatto emotivo e comunicativo, derivante dall'uso delle tre dimensioni.
La tridimensionalità è la proprietà geometrica di rappresentare e descrivere lo spazio in tre coordinate: la percezione di volumi, l'incisività e la profondità di campo indicano le proprietà dell'ambiente che vogliamo descrivere. La nostra mente interpreta il mondo in tre dimensioni attraverso un sistema combinato fra percezione e sensazione.
I sensi sono per certi versi le porte e le finestre della nostra mente, attraverso le quali passa ogni nuova informazione; gran parte dei nostri pensieri, idee o concetti deriva, infatti, dagli stimoli sensoriali sul nostro corpo.
Gli studi sulla multisensorialità del corpo umano hanno ampiamente dimostrato che la percezione della tridimensionalità non avviene solo per via visiva, ma anzi la vista può essere addirittura trascurata. Da ciò risulta che la percezione in tre dimensioni è fondamentale per la conoscenza dell'ambiente esterno, anche in assenza della vista. Quindi il nostro sistema di interpretazione del mondo si basa su regole esperienziali, genetiche e illusorie di ricomposizione mentale in cui la profondità dello spazio e dei volumi costituisce la principale caratterizzazione. Una ricostruzione tridimensionale capace di simulare tali percezioni dovrebbe essere dunque in grado di comunicare un maggiore numero di informazioni e, soprattutto, di accelerare l'apprendimento.
L'obiettivo principale della Realtà Virtuale non è solo la simulazione del reale, ma la rappresentazione della conoscenza attraverso molteplici relazioni, di cui la Realtà è solo una parte. In questo senso anche la ricerca del fotorealismo non va considerata come una mera imitazione del reale, ma un catalizzatore percettivo-evocativo che aumenta la capacità di apprendimento poiché influenza i patterns mentali attraverso il suo automatico ed intuitivo utilizzo.
"Il visivo si spiega col visivo" (ANTINUCCI F. 2007, p. 40), dunque l'omogeneità del codice è fondamentale. La traduzione in parole di codici e informazioni che sono espresse nel mezzo visivo sarà non solo approssimativa e carente, ma anche laboriosa, sia per chi la formula, sia, soprattutto, per chi la deve capire. Inoltre questa riformulazione tende a innescare "conflitti cognitivi, giacché richiede di alternare continuamente la modalità di processing cognitivo – tra il percettivo-visivo e il simbolico-ricostruttivo – operando sullo stesso oggetto".
Un chiaro esempio di ciò si verifica quando, ad una mostra o in un museo, sono proposti al pubblico lunghi testi scritti fissati al muro, come pannelli, o consultabili, come schede informative portatili. Le due operazioni, guardare l'oggetto e leggere il testo, sono assolutamente incompatibili contemporaneamente. È esperienza comune, più o meno consapevole, che una delle due venga eliminata: di solito la più faticosa, il testo scritto, anche se, interrogati in proposito, se ne riconosce, contraddittoriamente l'utilità. Ciò accade perché il conflitto è inconscio e insopprimibile.
3d archaeology
3d Archaeology - Archeologia 3d
martedì 31 gennaio 2012
venerdì 1 luglio 2011
08 PERCHÉ REALIZZARE MODELLI 3D IN ARCHEOLOGIA?
Ottenuto dunque un modello tridimensionale accurato c'è una domanda che non sempre ci si pone, e che dovrebbe invece essere alla base della modellizzazione 3D. Cosa farne?
La ricerca propone numerose tipologie di ricostruzioni tridimensionali e di contesti nei quali esse sono realizzate, ma spesso le idee sulle quali si basa il prodotto finale non sono molto chiare.
Il modello tridimensionale non deve essere un fine, ma un mezzo per la comprensione di dati complessi, per fare ricerca, per la divulgazione: esso può superare il confine del laboratorio ed essere utilizzato per creare numerosi tipi di prodotti per fini educativi, per programmi televisivi, per applicazioni immersive e/o navigabili on-line, per i videogiochi etc..
Per ammortizzare i costi iniziali dei modelli da realizzare, essi dovrebbero essere pensati fin dall'inizio per un uso multicanale. Attualmente, grazie ai progressi raggiunti dai programmi che permettono la conversione tra più tipi di formati, non è più necessario operare con un unico software, ma si può scegliere di volta in volta, a seconda dell'operazione specifica da compiere, di utilizzare quello più adeguato alle proprie esigenze.
I modelli tridimensionali ovviamente avrebbero maggiore efficacia se usati in situazioni di totale immersività, se dunque si usassero tutti quegli strumenti ad essa preposti. Anche se la tecnologia nel settore ha fatto grandi passi avanti, una diffusione capillare di modelli di questo tipo (per tecnologia necessaria, difficoltà di utilizzo e soprattutto per i costi ancora proibitivi) non è ancora possibile.
Diversi sono i potenziali fruitori di una ricostruzione virtuale: turisti che visitano siti archeologici, magari tramite totem computerizzati in grado di usare applicazioni di Realtà Virtuale per illustrare le zone di maggior interesse del sito; visitatori di musei; studenti che hanno maggiore familiarità con interfacce funzionanti come un video game, e che potrebbero anche per questo apprezzare maggiormente le funzioni divulgative di un progetto di Realtà Virtuale con contenuti scientifici e di alto interesse culturale; un pubblico esperto e di ambito accademico, che potrebbe essere interessato ad accedere alle informazioni scientifiche ordinate in database e collegate direttamente agli oggetti visualizzati e che semplifichi sensibilmente loro il lavoro di confronto e di ricerca (GUIDAZZOLI A. 2007).
La comunicazione digitale deve essere intesa come un processo di validazione dell'intero percorso conoscitivo e non come una semplice aggiunta alla ricerca che causi un eccessivo accumulo di dati. La tradizione metodologica ha quasi sempre separato il dominio della ricerca sul campo e delle pubblicazioni scientifiche, dal mondo della comunicazione, che troppe volte è banalizzata e isolata in un non ben definito e generico campo della "didattica".
La Realtà Virtuale possiede un enorme potenziale rispetto all'incremento cognitivo, poiché permette la formulazione di più ipotesi (una regola in ambito scientifico) e di poterle affiancare senza essere obbligati a sceglierne e presentarne forzatamente una sola, come accadrebbe se si lavorasse sull'originale (come avviene ad esempio nel restauro) (ANTINUCCI F. 2004).
La sfida che ci lanciano invece le tecnologie digitali è di integrare tutti i dati in un unico processo che comprenda: l'acquisizione digitale, l'elaborazione digitale e la comunicazione digitale, e che finora si è solo limitato a tradurre semplicemente in digitale lo schema tradizionale delle pubblicazioni a stampa, non costituendo, quindi, nessun valore aggiunto (FORTE M. 2006).
Esistono due grosse distinzioni da fare sull'uso di un modello tridimensionale a seconda che esso sia off-line, o on-line.
Nella prima modalità, il modello 3D può essere costruito senza limiti sia dal punto di vista della libertà di costruzione, sia da quello della qualità desiderata, dato che il computer può impiegare tutto il tempo ad esso necessario per renderizzarlo.
Nella seconda, invece, ciò non può avvenire poiché il modello dovrebbe essere visualizzato in tempo reale: i limiti di realizzazione, quindi, sarebbero molto più grandi.
In un filmato generato off-line, diversamente che nella navigazione on-line, gli ambienti possono essere costruiti e renderizzati con una resa grafico-visiva enormemente maggiore (ANTINUCCI F. 2007).
Massimiliano Montanari
lunedì 20 giugno 2011
07 CARATTERISTICHE DELL’ARCHEOLOGIA VIRTUALE.
Settimo capitolo nel mondo dell’archeologia 3d.
Quali sono le caratteristiche che dovrebbe avere una ricostruzione tridimensionale in archeologia?
Una delle sostanziali differenze fra un lavoro digitale e un lavoro analogico è il supporto: non si tratta di informazioni legate al supporto fisico ma ad informazioni che possono essere copiate n volte su differenti supporti senza minimamente perdere qualità. Quello che però al momento sembra un enorme vantaggio può, col tempo diventare un problema.
Nonostante possano contenere un volume di dati molto elevato rispetto ai supporti tradizionali (come i cartacei ad esempio), quelli digitali hanno una durata di solo poche decine di anni. Questo non li rende idonei a contenere documenti destinati alla conservazione: bisognerebbe dunque prevedere ciclicamente il loro riversamento su nuovi supporti, preferibilmente di volta in volta più capienti ed aggiornati, al passo con le innovazioni tecnologiche.
Inoltre, anche ipotizzando che i dati siano conservati unicamente su supporti non riscrivibili, resta comunque il pericolo che essi possano subire delle alterazioni durante i vari riversamenti, privando quindi di autorevolezza il supporto.
Per ovviare a questa carenza non resta che affidarsi agli addetti alla conservazione dei dati e fidarsi del sistema di custodia dei supporti sui quali essi sono conservati.
Data la nota deperibilità degli archivi informatici, essi vanno continuamente rinnovati prevedendo il riversamento su nuovi supporti.
Se è possibile recuperare informazioni da un archivio cartaceo scoperto dopo secoli, è impossibile che ciò avvenga per quelli digitali non adeguatamente custoditi. A differenza dei supporti di dati analogici, il cui degrado è progressivo e la cui immagine svanisce col tempo, quelli digitali, specie se compressi, vengono irrimediabilmente smarriti nella loro interezza.
Oltre al deperimento dei supporti sono numerosi i problemi di cui tener conto: il fattore umano1, la veloce trasformazione dei supporti hardware, quella ancora più veloce dei software.
L'informazione digitale, diversamente dal documento materiale che spesso è possibile ritrovare anche per caso dopo secoli, ha bisogno di un atto di volontà per essere tramandato e per non svanire definitivamente. La risorsa digitale, per durare nel tempo, deve mantenere:
· vitalità: integrità di tutti i bit;
· traducibilità: leggibilità da parte dell'elaboratore;
· autenticità: collegamenti a metadati validanti;
· fruibilità.
L'avvicendarsi dei diversi formati creati per la grafica 3D, specialmente per una fruizione dalla rete, rende attuale la questione della fruibilità nel tempo dei modelli tridimensionali2.
Un modo per salvaguardare tale fruibilità nel tempo, potrebbe dunque essere l'unione tra tecnologia open source3 e i più diffusi software commerciali.
L'open source è un mondo estremamente dinamico e in continua evoluzione che, grazie alla numerosa comunità che lo supporta, offre una efficace garanzia di longevità per i modelli e per la loro fruizione. Al tempo stesso, l'uso di software commerciali con un ampio bacino di clienti rassicura la loro convertibilità nel caso di variazioni nel tempo degli standard di archiviazione (Liguori M. 20082).
Il recente sviluppo del 3D e della Realtà Virtuale è dovuto ad una serie di cambiamenti della società. La legge sull'aumento della potenza dei processori4, e sul loro costo in diminuzione, è ormai nota. Ciò che però nello specifico ha permesso di usare strumenti per grafica tridimensionale anche su semplicissimi personal computer è l'abbassamento dei prezzi delle schede grafiche, promosso dall'aumento vertiginoso del mercato dei videogiochi5 a sua volta dovuto, appunto, a quel cambiamento della società di cui si diceva prima: più tempo libero, propensione al loro uso da parte di un'utenza anche adulta e non più esclusivo dei bambini e degli adolescenti, così com'era fino a pochi anni fa.
Il mercato dei videogiochi che sfruttano sempre di più grafica 3D, infatti, ha dato un notevole impulso alla diffusione di hardware a basso costo; la crescita inaspettata di questo tipo di tecnologia rende ora il suo uso possibile anche ai fini scientifici e storici.
Si può disporre quindi di un'alta potenza di calcolo che, pur mantenendo un prezzo basso (PC di fascia media), è per molti versi superiore a quella dei costosissimi supercomputer di alcuni anni fa (Guidazzoli A. 2007).
Lo sviluppo di software e hardware dal punto di vista tecnologico è stato seguito da quello del mercato per merito ed in conseguenza dell'aumento del loro utilizzo fino ad introdurre la loro presenza nelle vite di tutti i giorni. Operazioni che pochi anni fa richiedevano personale specializzato e apparecchiature professionali oggi possono essere realizzate su un personal computer di fascia media, con software open source, semplicemente seguendo dei tutorial sul web. L'apprendimento e l'utilizzo di queste nuove tecnologie possono dare vita a nuove figure professionali, nonché a nuovi posti di lavoro nel campo dei beni culturali; ciò costituisce un fatto ancora più rilevante per un settore nel quale oggi è difficile trovare un inserimento lavorativo, specialmente al di fuori dell'ambiente accademico.
Il legame tra archeologia e tecnologia diventa sempre più inscindibile, ma non si tratta di un rapporto facile, non è ben chiaro se siano direttamente gli archeologi a dovere svolgere mansioni prettamente tecniche o se sia più opportuno affidarsi ad esperti esterni.
La possibilità da parte degli archeologi di intervenire in prima persona sullo sviluppo del software, o quantomeno di comprenderne i meccanismi di progettazione, modifica i termini di quel rapporto che negli anni scorsi è intercorso tra le figure professionali tradizionali del mondo dell'informatica e quello dell'archeologia. Questo si rivela essere la premessa che da ai "Metodi informatici della ricerca archeologica" quel pieno titolo e quella dignità disciplinare che ne può consentire l'inserimento tra gli insegnamenti caratterizzanti per l'iter formativo universitario dell'archeologo (Gottarelli A. 2009).
La velocità di evoluzione tecnologica è spesso superiore ai progressi metodologici di molte discipline, con particolare riguardo per quelle umanistiche. Questo significa che i percorsi di formazione universitaria e post-universitaria difficilmente riescono a tenere il passo dell'uso multidisciplinare delle tecnologie digitali e questo comporta una mancanza di sincronia tra i processi metodologici e quelli tecnologici.
Ad esempio è molto raro nelle università italiane poter approfondire le molteplici relazioni fra geometria cognitiva dell'informazione archeologica, tecniche di documentazione, percezione e comunicazione di modelli prodotti da metodologie differenti (Forte M. 2006).
È plausibile ritenere che le occasioni mancate dall'Archeologia Virtuale di affermarsi definitivamente in ambito accademico siano da attribuire alla netta separazione di competenze fra archeologi e informatici e dell'inesistenza di figure interdisciplinari di collegamento.
Gli archeologi coinvolti in quei nuovi progetti che prevedono l'applicazione delle tecnologie informatiche al loro ambito di competenza non solo devono conoscere in dettaglio le tecnologie digitali, ma devono anche partecipare a tutte le fasi di elaborazione delle informazioni, a partire dalla progettazione fino all'acquisizione digitale dei dati sul campo (Forte M. 2000).
[1] Un caso esemplare si può leggere nell'articolo: Dead Men Tell No Passwords. Il direttore dell'archiviazione e della gestione delle copie elettroniche dei documenti storici più importanti di tutta la Norvegia, Ottar Grepstad, morì senza lasciare a nessuno la propria password. Il direttore del centro culturale norvegese finì per chiedere aiuto a degli hacker per accedere alla banca dati del centro protetta appunto da questa password. Dal sito: www.wired.com/science/discoveries/news/2002/06/52997.
2 Questi sono i punti principali che la Carta di Londra sta cercando di formulare delle linee guida nel processo di elaborazione della visualizzazione tridimensionale. Sembra dunque sempre più importante che essa venga accompagnata da un'attenta analisi dei formati e dei vari standard. Dal sito: www.londonchart.org.
3 L'Open source in informatica (traduzione letterale: sorgente aperta) è un software che, attraverso un particolare sistema di licenze d'uso, può essere liberamente studiato e modificato da altri programmatori indipendenti. Il prodotto finale risulta dunque arricchito dall'apporto di più parti e può diversificarsi a seconda dei fini del suo ultimo utilizzatore. L'open source è legato strettamente ad Internet che permette a programmatori anche molto distanti geograficamente tra loro di lavorare al medesimo progetto. La comunità open source, comprende decine di migliaia di progetti, numero che aumenta costantemente. Wikipedia è un chiaro esempio dei frutti di tale movimento. L'open source tende ad avere quasi una connotazione filosofica, una nuova concezione della vita, aperta e contraria ad ogni oscurantismo, che propone la condivisione della conoscenza. Dal sito Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Open_source.
4 Gordon Moore, co-fondatore di Intel , nel 1965, aveva predetto che il numero di transistor inseriti in un chip sarebbe raddoppiato circa ogni due anni. Questa previsione, nota come la Legge di Moore ha favorito la rivoluzione mondiale della tecnologia. Da sito: http://www.intel.com/cd/corporate/techtrends/emea/ita/209838.htm.
5 Il mercato dei videogiochi ha da qualche anno superato quello del cinema sia in Italia che nel resto del mondo. Fonte: AESVI Associazione Editori Software Videoludico Italiana. Sito: www.aesvi.it.
Massimiliano Montanari
martedì 7 giugno 2011
06 PERCHÉ E A QUALE FINE RICOSTRUIRE VIRTUALMENTE?
Sesto capitolo nel mondo dell’archeologia 3d.
Potrebbe sembrare semplice rispondere ad una domanda di questo tipo, o che la risposta possa essere scontata, ma in realtà troppo spesso non viene posta, quando invece dovrebbe essere alla base dei progetti di ricostruzione.
Chi esegue un progetto di ricostruzione tridimensionale deve avere ben chiare, sin dall'inizio, le proprie finalità, a prescindere dalla tecnologia usata e tenendo conto del presupposto indispensabile secondo il quale "l'informazione contestuale del ricostruito deve superare cognitivamente la somma delle sue parti, sfruttando al massimo le potenzialità della percezione dinamica" (Forte M. 2000).
Ogni ricostruzione tridimensionale dovrebbe veder coincidere uno dei suoi compiti principali con lo scopo fondamentale per cui è nata la Realtà Virtuale e cioè migliorare la comprensione dei dati complessi.
Per meglio chiarire in che modo l'applicazione delle nuove tecnologie incida all'interno di un processo di apprendimento si possono prendere in esame quelli che sono riconosciuti come due degli aspetti integranti di quest'ultimo, quelli che ne determinano o meno il successo. Il primo è l'aspetto cognitivo che riguarda la comprensione dell'oggetto in esame: non si può apprendere ciò che non si capisce. Il secondo, l'aspetto dinamico (in termini tecnici, o 'affettivo' in termini più comuni) consiste nella motivazione: l'essere stimolati ad apprendere, il volere sapere, "nulla si apprende se non c'è interesse a farlo" (Antinucci F. 2007).
L'elaborazione di immagini virtuali è in grado di potenziare sia tali aspetti, sia la trasmissione culturale che rientra, anche se con caratteristiche proprie e peculiari, nella vasta categoria dei processi di apprendimento.
Nel settore dei beni culturali però, all'interno di musei, mostre, parchi archeologici ecc. si incontrano problematiche che interessano la comunicazione. Quest'ultima infatti, ancora troppo spesso, è eccessivamente specialistica, come se gli addetti ai lavori si rivolgessero ad altri addetti ai lavori e dunque essa non risulta appropriata ad un visitatore occasionale: la conoscenza in questo caso non riesce a superare tale barriera e non viene percepita.
Altra circostanza in cui viene a mancare la trasmissione di un'informazione è quella nella quale l'utenza è costretta a scegliere forzatamente tra troppe opzioni, ad esempio: una postazione virtuale con troppe scelte da effettuare, troppi link collegati ai database, troppe immagini da sfogliare.
"Il visitatore comune è normalmente disorientato: se lo piazziamo in mezzo a qualche centinaio di scelte, le cui etichette già presuppongono conoscenze in merito, non facciamo che aumentare il suo disorientamento" (Antinucci F. 2007).
La comunicazione infine deve suscitare nel visitatore qualcosa che è tutt'altro che trascurabile: la motivazione.
Il "visitatore comune", dunque, va guidato nel modo per lui più chiaro possibile, nel quale non sia costretto a scegliere tra cose sulle quali non sa abbastanza da poter scegliere, e nel quale le informazioni veramente essenziali alla comprensione del bene culturale siano per lui facilmente accessibili, con modalità efficaci ed anche accattivanti, volte cioè a stimolare la motivazione (Antinucci F. 2007).
Per rendere qualitativamente migliore la fruizione dell'utenza bisogna, oltre che rafforzare la relazione con la peculiare identità culturale del museo fisico, sfruttare le risorse tecnologiche come valore aggiunto, nelle sue specificità migliori (non peggiori, come accade nella semplice copia degli oggetti reali), e non per rivolgersi esclusivamente a tecnici, esperti, ricercatori, o conoscitori a qualunque titolo del luogo visitato e con l'intento primario di aiutarne/potenziarne il lavoro/piacere, ma al fine di favorire il grande pubblico, attuale e potenziale dei musei.
Il vantaggio delle nuove tecnologie sta proprio nel fatto che gli stessi dati possono essere gestiti in maniera differente a seconda dell'utenza a cui sono indirizzati. Tutto ciò potrebbe fare storcere il naso ai puristi dell'ideale democratico delle informazioni digitali: non vuole essere censura preventiva, ma una storia da raccontare ai visitatori nella quale gli esperti possono ugualmente fare ciò di cui sono capaci, possono cioè selezionare le informazioni.
Massimiliano Montanari
giovedì 26 maggio 2011
05 RISCHI E DISTORSIONI DELL'ARCHEOLOGIA VIRTUALE
L'indiscussa efficacia delle nuove tecnologie sta suscitando enorme interesse testimoniato anche dalle recenti grosse produzioni hollywoodiane girate in tre dimensioni che hanno dato un fortissimo impulso a molti settori, come quello delle sale cinematografiche, dei televisori e di tutti quei dispositivi, anche per cellulari, in grado di visualizzarla, spingendo infine anche la ricerca tradizionale ad utilizzarle.
Una prima grossa distorsione consiste nel fatto che gran parte della ricerca scientifica finanziata si chiama technology driven, uno studio cioè indirizzato dalla tecnologia, che quindi ne diventa il fine e non il mezzo, mirando a finanziare unicamente il progredire della tecnologia[1] .
Ecco un esempio relativo, in particolare, al settore dei beni culturali:
"C'è un sistema che dovrebbe permettere, avendo a disposizione un telefonino e una macchina fotografica, di scattare una foto a un resto archeologico, monumento ecc., inviarla a un server centrale e ricevere informazioni sul monumento che si ha davanti. Apparentemente rientra dunque nel nostro obiettivo: come ripristinare il circuito tra le opere e i fruitori. Ma a cosa è rivolta la ricerca realmente? Al sistema che permette data una foto, di identificare di quale oggetto si tratta. Cioè al problema del riconoscimento automatico dell'immagine.
Dal punto di vista della fruizione del bene culturale, questo sistema è ingombrante e costoso e, soprattutto inutile. Lo si potrebbe definire come sparare a una zanzara con un cannone: è evidente, infatti, che esistono infiniti sistemi, molto più semplici, che permettono di ottenere l'identificazione dell'oggetto. Ad esempio, una semplice etichetta numerata riportata sull'oggetto stesso che il visitatore potrebbe digitare e inviare. Ci sarebbero come è ovvio, notevolissimi vantaggi di costo, dato che non solo si farebbe a meno del laborioso sistema di riconoscimento, ma l'invio dell'etichetta numerica costerebbe esso stesso meno dell'invio di una foto. E ci sarebbe un considerevole aumento dell'affidabilità: il sistema con il riconoscimento automatico è prono all'errore, soprattutto in funzione della presa dell'immagine; il sistema dell'etichetta può sbagliare solo se l'utente non digita la cifra in modo corretto L'etichettatura dei monumenti, poi è operazione sicuramente più semplice e meno costosa di quella di fornire al sistema i dati degli stessi monumenti perché operi un corretto riconoscimento.
E non vogliamo nemmeno pensare a cosa dovrebbe accadere se il sistema volesse essere generalizzato ben oltre i pochi siti e monumenti sui quali è stato sperimentato: si può immaginare costo e dimensione di un sistema che volesse funzionare, ad esempio, su tutte le aree archeologiche italiane? Anzi, se ne può realisticamente immaginare la fattibilità?
Nulla, invece è stato dedicato a capire che cosa si dovrebbe ricevere sul proprio telefonino, anche ammesso - e non concesso- che sia uno strumento adeguato allo scopo" (ANTINUCCI F. 2007).
Sono sempre più numerose le ricerche che perseguono con qualche lieve differenza lo stesso obiettivo: sviluppare cioè dei sistemi che permettano di trasferire oggetti tridimensionali sul web e di renderli manipolabili.
Purtroppo il proliferare di queste proposte sembra essere solo la conseguenza di una certa moda tecnologica che consiste nella scannerizzazione tridimensionale a tappeto degli oggetti d'arte volumetrici e che, indipendentemente dalla sua utilità, genererà una quantità immensa di dati (principalmente fotografie, tradizionali o digitali) da conservare e gestire con un certo dispendio di tempo, lavoro e risorse. (ANTINUCCI F. 2007).
Senza contare che ancora oggi gli ambienti virtuali, così come nel cinema degli esordi, si limitano spesso a fare leva sull'effetto stupore quando potrebbero invece essere utilizzati più efficacemente per raccontare la complessità dei progetti di ricerca, consentendo un nuovo tipo di fruizione da parte del grande pubblico: una sorta di esplorazione non lineare che si differenzia completamente dalla sequenzialità cinematografica (GUIDAZZOLI A. 2007).
Le elaborazioni virtuali di immagini, che, come si è detto, costituiscono dunque una risorsa importantissima sia per la ricerca, sia per la loro efficacia come mezzo di diffusione, presentano alcune problematiche.
Un esempio su tutti il fatto che le immagini elettroniche tendono a riportare tutto alle proporzioni dello schermo. Anche se il cervello umano riesce esattamente a compiere il rapporto di scala, l'effetto percettivo immediato non è assolutamente lo stesso: la modalità senso-motoria in cui opera il nostro cervello svolgendo questo compito non corregge la scala (operazione che compie un'altra "parte" del nostro cervello).
Per questo motivo la scelta di porre accanto ad un'opera d'arte uno schermo sul quale far scorrere le immagini delle copie con ricostruzione è decisamente errata, poiché l'accostamento di questi due oggetti, essendo di fatto irrimediabilmente diversi e difficilmente comparabili rispetto all'operare senso-motorio, non fa altro che vanificare gran parte del lavoro critico, concettuale ed esecutivo svolto per la copia ricostruita (ANTINUCCI F. 2004).
Al tempo stesso però, di progetto in progetto, si è giunti a riconoscere le ricostruzioni tridimensionali computerizzate come uno strumento particolarmente flessibile, che consente usi che fino a pochi anni fa sembravano improponibili.
I modelli 3D permettono di:
- accedere a monumenti a rischio di danneggiamento, e perciò chiusi al pubblico;
- riprodurre, nella versione più completa possibile, realtà e oggetti non più esistenti o di cui rimangono solo alcune rovine o frammenti;
- offrire una fruizione senza confini, sia portando l'oggetto all'utente, sia radunando oggetti dispersi sul territorio e riproponendoli entro uno spazio nuovo percorribile virtualmente;
- ottenere una visione dinamica, senza vincoli spazio-temporali, proponendo punti di vista difficilmente raggiungibili (ad esempio a volo d'uccello), sia spostandosi nel tempo per mostrare fasi diverse della realtà analizzata;
- trasformarsi in un portale di accesso ad informazioni raccolte ed organizzate in database referenziali ed interrogabili" (GUIDAZZOLI A. 2007).
[1] I dati provengono dall'IST (Information Society Technology), che è il settore all'interno del quale viene finanziata la ricerca attinente ai beni culturali nel VI Framework Programme, il programma quadro della ricerca dell'Unione Europea terminato nel 2006; nel VII, attualmente in corso, si possono notare piccole differenze come ad esempio: "l'enfasi sui temi di ricerca piuttosto che sugli strumenti". Sito: http://cordis.europa.eu.
Massimiliano Montanari
domenica 22 maggio 2011
04 - IL CONTRIBUTO DELLA REALTÀ VIRTUALE IN ARCHEOLOGIA.
Si è già detto di come la tecnologia di visualizzazione del calcolo, nata in ambiente scientifico e tecnologico, grazie alla sua eccezionale versatilità, abbia visto crescere il proprio campo d'applicazione, tanto che oggi è possibile fare esperienza di sistemi virtuali anche per generare, navigare ed esplorare ambienti ricostruiti d'interesse storico culturale (FELICORI M. 2003).
Quale può essere il contributo della Realtà Virtuale nel campo della ricerca archeologica?
Una delle lacune più evidenti della scienza archeologica è l'impossibilità di svolgere sperimentazione nelle fasi di scavo e di esplorazione stratigrafica: cioè, l'archeologo vede già distrutta gran parte degli oggetti stessi della ricerca.
Dunque, la riproduzione virtuale dell'intera fase esplorativa archeologica e la ricostruzione puntuale del paesaggio, potrebbero essere i mezzi indispensabili per procedere a sempre più corrette stratificazioni. "L'archeologia virtuale rappresenta forse lo stadio ultimo della ricerca, in ragione del fatto che si prefigge di realizzare spazi e ambienti scientifico-informativi altrimenti non perlustrabili, guidando le fasi di indagine con criteri di accesso privi di arbitrarietà" (SARTI A. 1995).
L'archeologia virtuale, espressione della Virtual Cultural Heritage, vede una sua prima elaborazione teorica nei primi anni Novanta.
Il primo a parlare di Virtual Archaeology fu Paul Reilly, che nel 1991 indicò alcuni dei percorsi praticabili dell'archeologia computazionale individuando i suoi punti di forza nella registrazione degli scavi e nella ripetibilità degli scavi stessi attraverso modelli tridimensionali, ipertesti e soluzioni multimediali. Questa visione, dieci anni dopo, si è ampliata fino a comprendere l'applicazione dei metodi di visualizzazione e presentazione di ricostruzioni di ambienti del passato come edifici, paesaggi ed artefatti. Quel concetto iniziale tende così ad essere integrato con tutti quegli elementi che permettono la pubblicazione sempre più fedele di una complessità di contenuti, spostando l'attenzione dal singolo luogo all'ambiente con tutti i suoi elementi, grazie all'impiego crescente di banche dati che ne raccolgono i particolari (GUIDAZZOLI A. 2007).
La maggior parte dei settori della nostra vita ha visto, attraverso la digitalizzazione, un aumento esponenziale dei dati a disposizione producendo, a loro volta, l'emergere di un problema di gestione della loro consultazione. All'inizio di quella che è stata chiamata rivoluzione digitale[1] (e nella conseguente convergenza al digitale[2] ) si era mirato ad occupare il minor spazio possibile (in termini di byte), mentre il più recente rinnovamento nel settore dell'archiviazione ha prodotto supporti sempre più capienti e dai costi sempre più contenuti (come i CD, fino ai DVD ed i BLU RAY, ma anche hard disk e dispositivi portatili come le memorie flash), rendendo l'archiviazione quasi una prassi, senza la minima selezione: un semplice riversamento di dati su diversi supporti.
La semplice conversione al digitale della ricerca archeologica non porta dunque ad alcun evento straordinario, né deve alimentare aspettative esagerate (il fattore "cool"); sicuramente però bisogna affrontare un impatto informativo di molto superiore a quello degli ultimi decenni: più informazione comporta più complessità che, a sua volta, implica più processi di elaborazione e di conoscenza (FORTE M. 2006).
Negli anni '80-'90, tra l'altro, la notevole resistenza accademica (in parte ancora persistente) alla modellazione e visualizzazione 3D di dati archeologici, si basava fondamentalmente su un pregiudizio: che le realizzazioni 3D fossero una sorta di capriccio estetico e dessero cioè informazioni tutto sommato superflue ed opzionali all'uso scientifico, considerate quindi un mero supporto alla didattica ed interpretate come un processo di volgarizzazione della conoscenza anziché l'ampliamento.
Alcune problematiche in effetti ne hanno, fino ad oggi, limitato l'uso: ad esempio l'errore di pensare che un modello tridimensionale possa indurre solamente affabulazione estetica a danno del contenuto, o che le tecniche di modellazione 3D siano molto costose. In passato inoltre molte multinazionali del software adottavano una politica tecnologica secondo la quale il 3D rappresentava una nicchia di mercato non ancora allettante per cospicui investimenti, atteggiamento che invece, attualmente, sta subendo una rapida inversione di tendenza.
Il mondo tridimensionale era quindi relegato ad un ruolo ricostruttivo e non investigativo.
Questa diffidenza può trovare giustificazione nella difficoltà di immaginare un modello 3D come "uno spazio interattivo, multimodale e soprattutto come un contenitore olistico di informazione, un tutto maggiore della somma delle parti" (FORTE M. 2006).
L'assetto metodologico dell'Archeologia come disciplina non può ancora essere influenzato dall'utilizzo delle tecnologie 3D sia nelle fasi di acquisizione che di ricostruzione/elaborazione di immagini, poiché il numero di scavi archeologici nel corso dei quali esse sono applicate è statisticamente ancora poco significativo. Purtroppo accade così che la modellazione 3D elabori dati acquisiti manualmente in due dimensioni e/o integri informazioni spazialmente non corrette o addirittura inventate.
[1] La rivoluzione digitale è un processo di radicale trasformazione iniziato verso la metà del novecento con la realizzazione dei primi elaboratori elettronici e assume dimensioni internazionali già negli anni '70 continuando la sua espansione durante gli anni '80, fino ad affermarsi come "rivoluzione industriale" negli anni '90. Con rivoluzione digitale si intende l'enorme diffusione che hanno avuto i diversi prodotti digitali e a seguire quei cambiamenti sociali, economici e politici avvenuti con all'avvento della digitalizzazione di gran parte delle informazioni. La rivoluzione digitale, iniziata con la nascita del linguaggio binario comune a tutti i media e sempre più utilizzato per trasformare i mezzi di comunicazione tradizionali e per crearne di nuovi, ha contribuito a mutare profondamente il concetto di comunicazione. La rivoluzione digitale ha cambiato l'approccio alla cultura, al lavoro e al tempo libero. Da Encyclopedia of Information Science and Technology, New York 2009.
[2] La convergenza al digitale (trasformazione dell'informazione in digitale) è il fulcro della rivoluzione digitale con cui le informazioni provenienti da diverse fonti sono scritte con lo stesso linguaggio di base (il linguaggio dei bit) e gestite attraverso uno stesso strumento (il computer). La convergenza al digitale (ossia la migrazione verso il digitale di formati differenti di informazioni di solito collegati a diversi media) rende possibile una stretta ed inedita integrazione fra codici e linguaggi molto differenti tra loro. Questo processo non è solo una diretta conseguenza del progresso tecnologico, dal momento che coinvolge direttamente i modi di rappresentare, scambiare e gestire le informazioni; la rivoluzione digitale non va intesa come una riformulazione in un linguaggio nuovo di una preesistente realtà: ha modalità nuove rese possibili dalla tecnologia, ma è frutto di scelte che non sono solamente tecnologiche. Da Encyclopedia of Information Science and Technology, New York 2009.
Massimiliano Montanari
mercoledì 11 maggio 2011
La terza dimensione in Archeologia. Esperienza e Risultati.
WORKSHOP – UNIVERSITA' DI BOLOGNA.
La Terza Dimensione in Archeologia. Esperienze e Risultati.
ANDREA FIORINI
La restituzione tridimensionale degli elementi strutturali e della stratigrafia muraria: esperienze di fotomodellazione e stereofotogrammetrial.
ANTONIO CURCI, ALBERTO URCIA
Topografia e fotogrammetria: esperienze e risultati nell'applicazione dell'imaging station in Archeologia.
FEDERICA BOSCHI, ALESSANDRO CAMPEDELLI, CASTAGNETTI CRISTINA, BARBARA CERASETTI, MARCO DUBBINI, ENRICO GIORGI, MICHELE SILANI, ISABELLA TOSCHI
La profondità del sottosuolo e l'architettura del soprassuolo: il caso di Burnum (Croazia).
MASSIMILIANO MONTANARI
La comunicazione del dato tridimensionale: dalla ricostruzione virtuale al rendering. I casi della basilica di San severo e del castello di Rontana.
MARTINA ALTROVANDI, JULIAN BOGDANI, FEDERICA BOSCHI, MARCO DUBBINI, ENRICO GIORGI, MICHELE SILANI
Aerofotografia storica, geofisica e interpretazione archeologica nell'Area di Suaza (Ancona).
SIMONE ZAMBRUNO, ANTONINO VAZZANA
Archeoantropolotia virtuale, applicazioni del dato TAC e dello scanner 3D e luce struttura.
Venerdì 13 maggio 2011, ore 10 Aula Gambi – Piazza San Giovanni in Monte 2 Bologna
Questo incontro nasce dall'esigenza di raccontare le esperienze che diversi gruppi di ricerca stanno conducendo sul tema dell'utilizzo della Terza Dimensione nel rilievo e nella documentazione archeologica. Il workshop è pensato come libero scambio di esperienze e di opinioni da parte di tutti i partecipanti, a partire da brevi presentazioni di casi di studio che introdurranno i diversi temi e i diversi sistemi utilizzati, mostrando i risultati ottenuti e le eventuali difficoltà incontrate.
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